









I Macua
Rubrica a cura dell’antropologa Timi GASPARI
Il popolo Macua, composto da almeno 4.000.000 di persone, rappresenta l’etnia più numerosa del Mozambico (lo stesso attuale presidente, Nyusi, è un Macua) ed è presente soprattutto nel nord del Paese, dove, in particolare a Cabo Delgado e Niassa, convive con i Maconde, i Nyangia e gli Yao.
Non è un’etnia del tutto omogenea e si possono riconoscere vari sottogruppi: a Palma, per esempio, vi sono i Macua del Litorale, conosciuti come Macua Enahara. Nonostante la vasta distribuzione geografica e i diversi dialetti parlati si può affermare che esista un’unità di fondo tra i Macua: nella cosmogonia – ossia l’insieme di miti che illustrano l’origine del mondo – in tutti i vari sottogruppi Macua si ritrova lo stesso mito fondante: il mito del Monte Namuli, una montagna nella provincia della Zambezia.
Il Namuli, secondo il mito, sarebbe il centro e il luogo originario primordiale dei Macua. Secondo una versione di questo mito, i Macua sarebbero stati creati da dio nelle grotte del monte Namuli, e sul monte avrebbero procreato, fino a quando non discesero per esplorare nuove terre; un giorno s’imbatterono nel fiume Malema, costruirono un ponte di corde e cominciarono ad attraversarlo, ma il ponte si ruppe quando appena metà del gruppo aveva attraversato il fiume. Il gruppo rimasto indietro, credendo che il ponte fosse caduto per altre ragioni, più profonde, ebbero paura di ricostruirlo. I due gruppi rimasero quindi separati, e coloro che avevano attraversato continuarono il loro percorso. Questa circostanza legata all’attraversamento del fiume finì però con il ripetersi varie volte, ed è proprio da queste separazioni che sorsero i diversi gruppi Macua. Questo mito cambia di regione in regione, ma il punto comune è sempre quello di essere originari del Monte Namuli. L’espressione “Io vengo dal Namuli” è usata da tutti i Macua per significare “Non sono/siamo persone qualsiasi, sappiamo da dove veniamo, conosciamo la nostra origine e sappiamo dove andiamo, abbiamo uno scopo nella nostra vita”. Si tratta di un mito ricorrente, raccontato nelle iniziazioni, nei riti di cura, nei funerali e in moltissimi proverbi.
Nelle aree costiere i Macua sono in prevalenza musulmani; nelle aree più interne si ha una percentuale quasi pari tra cristiani e musulmani. Tutti però, a prescindere dal credo seguito, continuano a praticare la loro religione tradizionale che si affianca alle altre due. Quindi chi crede in Allah crede anche agli antenati. C’è convivenza e sincretismo armonico tra le religioni.
Dati storici
Le regioni ora abitate dai Macua erano anticamente abitate dai popoli Khoi e San, che avevano sviluppato una scrittura geroglifica elementare e praticavano l’agricoltura tipica del neolitico. I Macua risalgono ai primi gruppi Bantu meridionali che migrarono nel sud del continente a partire dalla regione centroafricana dei grandi laghi (Lago Vittoria e dintorni). Si ritiene che queste migrazioni siano avvenute nei primi cinque secoli dopo Cristo, ed è in questo lasso di tempo che probabilmente i Macua si sono installati nel nord del Mozambico. All’epoca i Macua si dedicavano principalmente alla caccia, alla raccolta di frutti silvestri e a un’agricoltura arcaica. Testi di un autore greco del I secolo d.C. e di Claudio Tolomeo testimoniano che già all’epoca viaggiatori del sudest asiatico avevano contatti commerciali con gli abitanti della regione. E’ importante sapere che l’idea che l’Africa subsahariana sia stata isolata fino al 1400 è una grande mistificazione: da secoli esistevano continui contatti con indiani, cinesi, arabi e malgasci; ne sono testimonianza le minoranze cinesi di decima generazione, e le molte persone con la pelle più chiara che discendono da unioni con indiani, arabi e cinesi.
Nei secoli dal IV al VIII i Macua da nomadi divennero sedentari, vivevano senza un’autorità politica territoriale centralizzata, bensì organizzati in piccoli gruppi clanici relativamente autosufficienti basati sull’agricoltura familiare, la caccia e la raccolta di frutti silvestri (e a tutt’oggi questa è ancora la struttura fondamentale dell’economia familiare nelle aree rurali mozambicane). Era presente anche la lavorazione del ferro e la produzione di olii e cesti.
Tra il XI e il XII vi furono ulteriori migrazioni Bantu che aumentarono la densità della popolazione, si intensificò il commercio e i vari gruppi cominciarono a organizzare difese contro guerre e assalti da parte di altri gruppi. Arabi del Golfo Persico si installarono lungo la costa creando imprese commerciali che per lungo tempo controllarono gli scambi della regione. Furono gli arabi a introdurre tra i Macua il commercio su larga scala, nuove specie di piante, e il traffico di schiavi e avorio, poi continuato per secoli.
Tra il XV e il XVIII secolo si formarono nelle aree litoranee degli stati afro-asiatici (califfati) per iniziativa di arabi vari altri stati Macua e, un po’ più all’interno, delle confederazioni di clan Macua. Questi nacquero per difendersi da attacchi esterni e per stabilire il controllo sui commerci. Tutti questi piccoli stati hanno bloccato per secoli l’espansione dei portoghesi nell’interno del Paese; fino al 1890 circa, i portoghesi difatti hanno avuto il controllo solamente di alcune parti del litorale e di pochissime cariche amministrative nell’interno. Tentarono molte spedizioni militari risalendo fiumi, ma la maggior parte di esse finì disastrosamente.
Nel XIX secolo si registra l’arrivo del popolo Anguni proveniente dal Sudafrica, che risalì tutto il Mozambico fino alla Tanzania a seguito alle grandi migrazioni scatenate dalle conquiste di Shakazulu. A tutt’oggi piccoli gruppi isolati di Anguni esistono in Niassa e Cabo Delgado. Oltre a questa fase vi fu anche una guerra estesa tra Macua e Yao, i quali alla fine contribuirono grandemente alla diffusione dell’islam dalle coste, in cui già era presente da secoli, a zone più interne e remote della regione. Dopo la Conferenza di Berlino del 1884 il Portogallo intensificò gli sforzi per prendere reale possesso di territori di cui fino a quel momento non controllava quasi nulla: dal 1890 al 1920 si ebbero quindi varie campagne militari, vittoriose in parte grazie alla collaborazione ottenuta da leader locali che erano in conflitto con altri gruppi litoranei e che consideravano loro interesse allearsi ai portoghesi. Nonostante ciò, il Portogallo non aveva i mezzi per amministrare il proprio territorio, e quindi lo dette in gestione alle compagnie; fino al 1930 Niassa e Cabo Delgado furono amministrati dalla Compagnia reale britannica del Niassa, che regolava l’esportazione di mano d’opera verso Sudafrica, Kenya e Zaire, raccoglieva le tasse tra i locali e li obbligava a mantenere un’agricoltura prettamente familiare. La compagnia era quasi uno stato indipendente, con poteri amministrativi, giuridici e commerciali. Durante la prima guerra mondiale vi furono varie incursioni tedesche dalla Tanzania (che era colonia germanica) in Cabo Delgado, e a guerra finita molti coloni tedeschi migrarono dalla Tanzania (espropriata alla Germania come risarcimento per i danni di guerra e assegnata all’Inghilterra) a Cabo Delgado, dove costruirono fattorie e piantagioni. Si possono trovare ancora vecchi Macua che sanno parlare alcune parole di tedesco, personalmente ne ho conosciuti due.
Dal 1930 in poi il Portogallo prese in mano la gestione di queste regioni e finì l’epoca delle compagnie. Provò a introdurre la coltivazione forzata del cotone tra i mozambicani, fallendo miseramente perché i locali sabotavano continuamente i raccolti. Lo stato coloniale si assicurò il controllo sulla popolazione ingraziandosi i leader tradizionali e rafforzando il loro potere. Per questo motivo dopo l’indipendenza del Mozambico i leader tradizionali furono tutti disconosciuti, direi proprio banditi, ed è da meno di dieci anni che lo Stato ha di nuovo accettato di riconoscere formalmente la loro esistenza e a riconoscere i loro compiti e diritti. Ciononostante è necessario ricordarsi che i leader tradizionali sono una ricostruzione storicamente recente: la regione è stata per secoli caratterizzata da piccoli stati autonomi, e il colonialismo ha voluto eliminarli (dato che questi sì erano nemici forti e pericolosi) minandoli alla base attraverso il rafforzamento dei piccoli leader, che prima avevano molte meno prerogative e influenza.
Durante la guerra di liberazione Cabo Delgado è stata fin dall’inizio teatro degli scontri tra FRELIMO e governo coloniale, ma è anche stata una delle prime regioni liberate. Le basi della FRELIMO si trovavano nel sud della Tanzania, prossime al confine con il Mozambico, e quindi i combattenti liberarono progressivamente il Paese da nord verso sud. In queste aree liberate già si delineavano e applicavano quei principi di governo che furono successivamente adottati dallo Stato mozambicano, allineato al socialismo scientifico di ispirazione marxista-leninista. L’indipendenza fu ottenuta nel 1975; siamo uno dei non molti stati africani che ha ottenuto la propria indipendenza lottando, e vincendo. Ci sono voluti tredici anni, e la maggior parte dei combattenti erano Maconde (di Cabo Delgado); pare che i Macua siano stati molto meno significativi numericamente, e per questo spesso tacciati di essere un popolo allineato al colonialismo, pavidi e leccapiedi, dimenticando i vari secoli di ostinata resistenza opposta ai portoghesi almeno fino al XIX secolo.
Nel 1979 iniziò la guerra di destabilizzazione che l’allora Rodhesia bianca e il Sudafrica mossero al Mozambico attraverso la RENAMO, non volendo accettare di avere uno Stato limitrofo governato da neri, e per di più socialista (l’incarnazione dei loro peggiori incubi). La guerra nel corso degli anni divenne una guerra civile, perdurò fino al 1992, e causò enormi devastazioni: un milione di morti (di questi, il 45% furono bambini), il Paese cosparso di mine con il conseguente esito di morti e amputati, circa 25.000 bambini soldato, 250.000 bambini orfani, 300 per mille di mortalità tra i 0 e 5 anni (ovvero, un terzo moriva), 4.5 milioni di sfollati interni, 1.5 milioni di rifugiati all’estero, metà della rete stradale distrutta, metà delle unità sanitarie distrutte. Il centro e il nord del Paese sono quelli che più hanno sofferto la guerra, e i ricordi tra le persone sono ancora molto vivi; le conseguenze della guerra si sentiranno ancora per decine di anni, visto che a tutt’oggi non siamo ancora riusciti a ripristinare del tutto le infrastrutture nelle condizioni in cui si trovavano prima della guerra.
Dalla pace a oggi si sono succeduti tre presidenti: Chissano, Guebuza e Nyusi.
Chissano è colui che ha avuto il compito di effettuare la transizione da socialismo a democrazia in seguito agli accordi di pace, e di ricostruire il Paese. Per farlo si è piegato completamente ai dettami dell’FMI e della Banca Mondiale, aprendo il Mozambico ai mercati internazionali senza nessun tipo di protezione, tagliando i fondi all’educazione e alla sanità, seguendo una serie di politiche agrarie che non hanno dato grandi giovamenti. Non credo che avesse molta scelta: si era in una situazione tale di ricatto da parte della comunità internazionale per cedere alle politiche neoliberiste e il Paese era messo così male, che non vedo che altro avrebbe potuto fare. Forse resistere un po’ di più, negoziare di più, quello sì. Guebuza è colui che ha voluto immettere il Mozambico nei circuiti del mercato internazionale attraendo più investitori stranieri possibili, dando il via alla svendita del Paese. Ha fatto anche varie cose positive (ad esempio è aumentato a dismisura il numero di scuole e centri sanitari), ma vari studi indicano che i mozambicani che vivono nelle aree rurali (circa l’85% della popolazione) stanno come o peggio di dieci anni fa. Tutte le operazioni e i tentativi di sviluppo hanno avuto scarsissimo successo.
I MACUA – ATTIVITA’ ECONOMICHE
(CONTINUA… )
