Quinto giorno di tournée: Olumbe

















































































Olumbi, Olumbe, Olombe, come si chiama questo villaggio? Non oso chiedere come si scrive…
Ultimo giorno di tournée, ultimo villaggio, ultimo spettacolo.
Me ne guardo bene dal dirlo ai miei compagni di viaggio ma finora è andato tutto bene, troppo bene…
E infatti a Olumbe, villaggio di pescatori in riva al mare, tira un vento pazzesco. Il vento è un problema per le scenografie. Due teli di sei metri per tre appesi a una struttura in tubi di ferro, se c’è molto vento creano un effetto vela pericoloso, pericoloso per gli attori che recitano davanti ai teli e per il pubblico.
Parcheggiamo le auto dietro alle scenografie per creare una protezione dal vento, leghiamo alcune corde di sicurezza tra le auto e la struttura. E poi dico ad Agostinho, cattolico praticante, di pregare.
A quante compagnie teatrali è capitato di essere inseguiti da un’orda di bambini festanti in uno sperduto villaggio del Mozambico dopo la messa in scena dello spettacolo?
Non lo so, a noi è successo.
Finisce lo spettacolo, smontiamo le scenografie e l’amplificazione e carichiamo tutto sui pick-up. L’intera operazione si svolge, ormai da giorni, con tutto il pubblico ancora seduto che ci guarda. I primi bambini sono arrivati quando siamo giunti stamattina e hanno seguito tutta la preparazione, oggi a Olumbe c’erano anche alcuni venditori di arachidi, bevande e pesce.
Se ne andranno solo quando ripartiremo. E forse quando saremo ormai lontani applaudiranno.
Invece no. Partiamo con le auto e un gruppo di bambini ci insegue di corsa.
Deviamo all’interno della foresta per aggirare una grossa pozza di acqua piovana, ritorniamo nella strada principale e spunta un fiume di bambini e ragazzi che ci corrono dietro.
Ho controllato bene: sorridevano, non ci volevano menare…
La tournée de Il Teatro Fa Bene non poteva finire in modo migliore.
Ho visitato il Centro di Salute del villaggio di Olumbe. Un luogo piccolo, pulito, ordinato, ben fornito, almeno sembra così a occhio perché vedo le scatole di medicine, ma è piccolo, troppo piccolo. E così è tutto in scala ridotta, anche il lavandino…
L’ho notato subito, avete presente quei lavandini ridotti? Ecco, quello è il lavandino del Centro di Salute del villaggio, migliaia di abitanti.
Tornando verso Palma ho pensato a quale tecnologia potrebbe essere utile: lavandini mobili. Una vasca installata su un carrello con ruote e due taniche, una in alto da riempire con acqua pulita e una in basso per raccogliere l’acqua sporca usata nel lavandino. Potrebbe essere in acciaio inox, più semplice da disinfettare e indistruttibile, non necessiterebbe di energia, l’acqua esce dal rubinetto per caduta e sempre per caduta si raccoglie nella tanica sotto.
Grazie alle ruote si potrebbe spostare di “reparto” in “reparto” (uso le virgolette perché qui è dura parlare di reparti…) e non credo che costerebbe molto realizzarlo. Lavandini mobili, me li devo segnare!
