Ritorno in Italia e fine seconda missione

















































































Il tragitto ormai lo conoscete: Maputo, Johannesburg, Francoforte, Milano. 25-26 ore di viaggio, 30 se calcolo il treno da Milano ad Alcatraz, in Umbria. Le passo soprattutto dormendo, scomodo, ma dormendo. Il viaggio di ritorno decreta la fine della missione, questa volta siamo stati qui ben 17 giorni, e ti cala la Stanchezza, quella con la S maiuscola.
Dopo il rientro la prima volta non ho parlato per due giorni!
Tra qualche settimana, in occasione dell’arrivo in Italia degli attori e l’inizio dello stage, rivedrò tutti i miei compagni di viaggio, Bruno, Iacopo, i ragazzi della troupe video
Abbiamo tutti una montagna di cose da fare!
Con Jacopo Fo sono stato un fiume in piena. Ho fatto il report della missione, guardandoci in faccia, uno di fianco all’altro e non più su Skype a migliaia di km di distanza.
Ho finalmente raccontato tutto, dagli spettacoli teatrali che abbiamo visto alla difficoltà intrinseche del progetto, ci sono stati momenti esaltanti e momenti tesi, un paio di volte, tra noi italiani, ce le siamo dette senza giri di parole. Poi ci dormi su, ci mangi sopra e passa tutto. E rincominci il lavoro per cui sei lì…
La missione può considerarsi un successo. Parola di Jacopo Fo, che mi fornisce il punto di vista di chi vede le cose da una certa distanza. Abbiamo raccolto tante, tantissime informazioni. Gli faccio vedere il video di alcuni pezzi delle esibizioni dei ragazzi selezionati.
“Lui è Agostinho, lei Ana Bela, guarda che sorriso! Safina! Safina sogna di fare la cantante, è l’unica che ci ha parlato di un sogno!”
Mi chiede del teatro comico, dell’Arlecchino.
No, Arlecchino in Mozambico non l’ho trovato. Ho annotato quasi tutte le scenette dove il pubblico ha riso.
“Guarda qui, lui dice a lei che se si mettono insieme possono parlare su Facebook e Whatsapp, il pubblico si è messo a ridere, capisci… Facebook e Whatsapp!!!”
Parliamo anche delle strutture sanitarie.
Sì, ho chiesto a molti cosa pensassero del nuovo Centro sanitario di Palma, o di quelli periferici dei villaggi, ho chiesto come era il rapporto tra medicina moderna e medicina tradizionale, l’ho chiesto ai medici del Cuamm e a normali abitanti, per avere tutti i diversi punti di vista.
Ci sono difficoltà e paure: difficoltà a raggiungere i Centri di Salute, soprattutto quello di Palma che è un vero e proprio ospedale per le emergenze con tanto di sale operatorie; paura nell’immaginare che una donna incinta possa allontanarsi dalla famiglia per stare nella Casa de Espera e venir monitorata durante gli ultimi passaggi della gravidanza. C’è diffidenza verso i medici e verso le medicine. E’ vero che vi sono stati collaborazioni e incontri tra medici tradizionali, qui noti con il nome di curandeiros, e i medici occidentali ma il processo è lungo, andrebbe seguito costantemente.
Durante la prima missione in Mozambico la dottoressa Iara, ancora oggi direttrice del Centro di salute di Palma ci disse che il problema era la comunicazione. “Parliamo lingue diverse” (i medici il portoghese, i pazienti uno dei dialetti della zona: swahili, macua, maconde).
Dovremmo usare un linguaggio semplice e comprensibile durante lo spettacolo, il messaggio dovrà essere chiaro e semplice, diretto.
Altrimenti saremo l’ennesimo esperimento non riuscito di cooperazione internazionale.