Non regalare un pesce,
insegna a costruire una canna da pesca!
di Jacopo Fo
La solidarietà è una bella cosa. Ma quando si decide di dare una mano al prossimo spesso ci si trova di fronte a grandi difficoltà.
Negli anni ’60 le fotografie dei bambini biafrani ridotti a scheletri con pance enormi fecero il giro del mondo e provocarono un’ondata di sdegno a cui seguirono molte iniziative per porre fine a quell’ecatombe.
Grandi quantità di cibo furono raccolte e distribuite a quelle popolazioni. Un’azione certamente meritoria che però mandò in rovina un numero enorme di agricoltori: visto che il cibo veniva distribuito gratis nessuno comprava più i loro prodotti. Il numero dei diseredati crebbe a dismisura e di lì a breve furono molte più le bocche da sfamare. Ma contemporaneamente l’ondata emotiva di solidarietà, nei paesi ricchi, si era affievolita: arrivavano meno navi cariche di cibo, mentre c’era più gente che aveva fame. Fu un disastro dentro il disastro.
Da allora il movimento solidale ha fatto enormi passi in avanti e cercato sempre nuovi strumenti per aiutare le popolazioni senza creare gravi effetti collaterali.
E i risultati si vedono: nonostante che negli ultimi 100 anni gli abitanti di questo pianeta siano quadruplicati, il numero dei morti per fame si è ridotto del 50% negli ultimi 20 anni. Non esiste luogo dove non sia all’opera qualche gruppo di cooperanti e le stesse popolazioni locali sono riuscite spesso a inventare modi per aiutarsi da sole, ottenendo risultati importanti, come nel caso delle banche dei poveri, che assistono oggi più di 200 milioni di donne.
Questi risultati ci incoraggiano a fare di più per cancellare le peggiori piaghe del mondo e a farlo stando molto attenti perché i problemi che abbiamo di fronte nelle aree depresse sono molto complessi.
Perché in Mozambico?
Nonostante la buona crescita economica degli ultimi anni, che ha contribuito a ridurre il numero di persone che vivono in stato di assoluta povertà, il Mozambico rimane un paese in via di sviluppo, in particolare nel distretto di Palma, nella provincia di Cabo Delgado, nel nord del Paese, anche se non siamo certo di fronte allo stesso livello di povertà che si incontrava 50 anni fa.
Anche a Palma esistono strutture solidali estremamente efficienti. Abbiamo visitato quei territori e le strutture sanitarie realizzate da Eni Foundation e gestite da Medici con l’Africa Cuamm, che offrono servizi medici gratuiti, compresa la distribuzione di medicine, due sale operatorie modernamente attrezzate, una casa per le donne prossime al parto e una serie di ambulatori nei villaggi.
In questo caso il problema quindi non è la mancanza di mezzi.
Parlando con i dottori che lavorano a Palma abbiamo scoperto che l’ostacolo maggiore che si incontra nell’offrire cure è semplicemente la diffidenza verso la medicina occidentale. Non si tratta di irrazionalità.
Il Mozambico è stato sotto la dominazione portoghese fino al 1975 ed è una giovane repubblica presidenziale che sta costruendo il proprio sistema sanitario. La forte presenza della medicina tradizionale unita alla poca fiducia verso i metodi di cura occidentali rappresentano un grosso ostacolo al dialogo.
I medici che agiscono in questa zona hanno da tempo dato vita a una serie di iniziative per superare questa diffidenza, agendo in modo non invasivo, ad esempio aprendo un dialogo intenso con i curandeiros locali per ottenere la loro collaborazione, al fine di far arrivare i malati più gravi alle strutture sanitarie. Questo approccio collaborativo ha dato buoni risultati ma ancora molto c’è da fare.
Abbiamo perciò studiato un progetto che partisse dal teatro sfruttando la forza emotiva di questo strumento.
La scelta del teatro deriva dal fatto che in questi villaggi esistono molte compagnie amatoriali che animano le feste e intervengono nelle scuole.
Il teatro, la musica e la danza sono le forme d’arte più diffuse e sentite.
Fatta questa scelta abbiamo iniziato a studiare la situazione culturale: quali sono le chiavi comiche e drammatiche in uso? In altre parole, che storie vengono raccontate, quali personaggi sono utilizzati?
Questi interrogativi sono essenziali, perché non avrebbe senso esportare il nostro teatro.
Abbiamo subito pensato che poteva essere utile lavorare insieme agli attori dei villaggi e collaborare per potenziare quel che già viene fatto, offrendo la nostra esperienza e fornendo loro anche mezzi economici e motivazione. All’inizio è stato tutto complicato, un po’ per lo scoglio della lingua ma soprattutto per i diversi modelli culturali. Alla richiesta di notizie sulla tradizione teatrale locale se ne usciva con l’impressione che questa quasi fosse assente. In realtà era difficile parlarne perché pareva strano che noi ricercassimo proprio le forme di teatro dei villaggi, quelle tradizionali, che erano da molti considerate moduli di scarso interesse per noi europei. Invece era esattamente ciò che ci interessava.
Lentamente è emersa la presenza non solo di molti gruppi di attori che producevano loro testi in stile tradizionale ma anche l’esistenza, che sospettavamo, di personaggi e strutture narrative universali: ad esempio il Trickster, una figura comica per molti versi assimilabile al nostro Arlecchino.
Abbiamo così individuato alcuni attori e autori di testi interessati a collaborare con noi e a venire in Italia, alla Libera Università di Alcatraz per seguire le lezioni di Dario Fo e una serie di eventi di musica e danza. Con questi attori si è deciso di dare vita a due laboratori dai quali far scaturire uno spettacolo successivamente rappresentato, dagli stessi attori mozambicani, in lingua swahili, nei villaggi. E intorno a questo spettacolo viene organizzata una serie di piccoli eventi sulle ecotecnologie utili in quei territori (vedi il libro in pdf “Ecotecnologie per il terzo mondo” ).
Via via che questo lavoro prende corpo vi raccontiamo cosa succede. E speriamo che questa esperienza sia utile non solo ai nostri colleghi del Mozambico ma anche a chi è interessato a conoscere quella realtà e i moduli del loro teatro: a noi sembrano veramente affascinanti e potrebbero insegnare molto e regalare idee nuove a chi ha scelto il palcoscenico come luogo della propria arte.
Restate connessi.
Jacopo Fo