“L’uomo è assolutamente libero: egli non è nient’altro che ciò che fa nella vita, egli è un progetto”
(Jean-Paul Sartre)

Non mi è facile raccontare la mia storia, forse perché nessuno mi ha chiesto mai di raccontarla.

Io sono nato da una famiglia povera e da quello che mi hanno sempre detto il 15 gennaio.

Il mio villaggio si chiamava Nacaca ed era nel distretto di Ancuabe-Mesa, in Mozambico.

 

adelino-cuba-storia-internaGli anni della mia infanzia sono segnati dalla guerra tra il Renamo e il Freelimo. La guerra dilagava nel Paese, le sparatorie erano sempre più vicine ai villaggi e le nostre paure erano piene di sangue.

Chi ha vissuto queste paure se le porta dentro per sempre.

Il pericolo delle violenze dei bandidos era in ogni luogo, ma soprattutto era pericoloso uscire dal villaggio e andare nelle machambe a raccogliere gli ortaggi.

È stato proprio mentre era nella sua machamba che mia zia venne sorpresa dai banditi.

Mia madre era nel campo con lei, si accorse dell’arrivo degli uomini con le armi, la chiamò ma lei non sentì.

Mia madre scappò. Mia zia fu uccisa con il bambino che portava in grembo.

Io mi ricordo di quando mia madre e mio zio tornarono al villaggio con il suo corpo, dei pianti e dei lamenti loro e degli abitanti del villaggio.

Quella era una guerra forte e gli occhi di noi bambini vedevano tutto, le nostre orecchie erano piene di suoni paurosi e dolorosi.

Dopo questo lutto ci trasferimmo in un villaggio vicino.

Il villaggio era guarnito e rivestito da una feticeria tradizionale. Quando i banditi passavano per il villaggio non vedevano case ma montagne e colline e nessuno di noi abitanti era in pericolo.

Noi dentro il villaggio eravamo protetti, ma il pericolo era sempre in agguato fuori nelle machambe, che  erano sempre meno coltivate. E troppo spesso ci mancava il cibo.

Ma i bambini sono sempre bambini anche in tempo di guerra e trovano sempre il modo e lo spazio per il gioco.

Io mi ricordo la caccia ai grilli, quelli grossi che stanno sottoterra. Li stanavamo e poi tutti insieme, bambine e bambini, li cucinavamo… giocavamo e ci nutrivamo!!!

Nel 1992, con gli accordi di Roma, la guerra finì. Che gioia, che emozione! Furono giorni e mesi di festa nei villaggi. Anche perché ben presto arrivarono gli aiuti umanitari dell’ONU. Ogni famiglia ebbe attrezzi per lavorare i campi, prodotti alimentari (noi li chiamavamo prodotti di emergenza) e soldi. La fame era finita e la vita riprese.
Io intanto avevo iniziato la scuola. Mi piaceva studiare, ero curioso e desideravo conoscere cose nuove. Io ho imparato con la voglia di imparare.

Ero piccolo ma avevo già capito che se avessi studiato avrei potuto per sempre lasciarmi la povertà alle spalle.

Per noi, gente del villaggio, studiare voleva anche dire lasciare la casa, gli affetti conosciuti e andare in collegio.

Alla fine della Quinta classe mio zio materno mi iscrive alla scuola di Mariri.

Il collegio era bello, era circondato da tre laghi e vicino c’era l’ospedale.

La vita all’interno era ben organizzata: c’era il momento del lavoro, dello studio, dello sport. C’era sempre la colazione, il pranzo e la cena. Capitava a volte che il cibo finisse e dovessimo aspettare l’arrivo del MIA, il programma mondiale dell’alimentazione. La pace era finalmente arrivata ma l’economia risentiva ancora delle conseguenze del conflitto.

A 14 anni il grande salto: lo zio mi vuole vicino a sé a Pemba e mi iscrive alla scuola “16 Giugno”.

A 14 anni si ha voglia di conoscere la vita, si ha voglia di avere negli occhi mondi nuovi e che cosa c’e di meglio che vivere in una città?

 

L’aiuto e l’attenzione dello zio, Pedro Antonia Francisco Muipia, furono determinanti per la mia vita e per la mia formazione scolastica.

Non potrò mai dimenticarlo e lo ringrazierò per sempre!

 

adelino-cuba-grande-sottoIl mio esordio nella nuova scuola fu grandioso: al primo test di verifica che il professore ci fece in classe consegnai subito il compito pressoché esatto!

Avevo studiato l’argomento l’anno prima ma mi guardai bene dal dirlo e lasciai che il professore lodasse la mia intelligenza eccezionale.

I miei compagni non furono della stessa idea: “Com’è possibile che uno che viene dal bosco sia così intelligente? Dev’essere per forza opera di una feticeira”

Comunque, nonostante questa diffidenza iniziale, mi feci subito molti amici fra i miei compagni perché insegnavo loro a studiare bene.

Mi diplomai a pieni voti e fui preso alla scuola tecnica superiore, la più importante.

Fino a qui tutto bene quindi: con tenacia e determinazione ero riuscito a far sì che la mia vita non percorresse più una strada sterrata e polverosa ma  una bella strada asfaltata… e invece no!

Al Terzo anno di scuola superiore lo zio non ha più i soldi per mantenermi agli studi.

Stare o non stare alla Scuola Secondaria non è un fatto di intelligenza ma di soldi … e io di soldi non ne possedevo.

Lasciai così la scuola e iniziai ad occuparmi di commercio. Compravo la farina di mais al villaggio, la rivendevo ai pescatori di Pemba, prendevo da loro il pesce che poi rivendevo in città.

Gli affari andavano benissimo, allargai il business e allestii anche una piccola cantina ( o bar come lo chiamate voi) nella Scuola Secondaria di Pemba.
Ma ogni volta che incontravo i miei vecchi compagni che continuavano a frequentare la Scuola Superiore, la ferita dell’abbandono della scuola si riapriva. Ero addolorato, demotivato ma anche molto arrabbiato per l’ingiustizia subita.

Così la mia ambizione ebbe il sopravvento: decisi di smettere di incrementare il mio business e i soldi che guadagnavo li misi da parte per potere riprendere gli studi.

A 22 anni mi sono fatto coraggio e sono ritornato in collegio. Mi iscrissi alla scuola pedagogica: diventerò professore, mi dicevo, imparerò come lavorare con la comunità.

È stata una scelta scolastica e professionale condizionata dalle condizioni economiche ma per me è stata comunque una grande scelta perché è stata frutto della mia determinazione

E poi, giorno dopo giorno, arriviamo al 16 febbraio 2003… quel giorno incontrai Carlotta e la continuo a incontrare ogni mattina, appena mi sveglio.

Il nostro rapporto ha superato varie prove, la più dolorosa per me fu quando la tradii.

Lei lo scoprì, affrontò la ragazza e fra le due fu una vera lotta: urla, pugni, graffi, si prendevano, si lasciavano, si riacciuffavano.

Io intervenni per dividerle, spaventato: smisero di picchiarsi tra di loro ma cominciarono a riempire di botte me.

Ne uscii dolorante, pieno di lividi ma sicuro della scelta; Carlotta era la donna della mia vita!

Finita la scuola, ci assegnarono a due sedi scolastiche diverse e distanti.

Fu un momento molto difficile per noi. La notte prima della partenza la passammo piangendo.

Sì lo so, a chi mi conosce riesce un po’ difficile immaginarmi nelle vesti dell’innamorato piangente ma io, anche se lo nascondo bene, sono molto tenero!

Volete sapere come è andata a finire? Grazie all’intervento di mio zio, Carlotta fu trasferita a Palma, dove ero io. Adesso è diventata direttrice di una scuola di Palma.

Io invece, mentre insegnavo, fui chiamato dalla Direzione del Distretto per occuparmi di eventi culturali. All’inizio rifiutai: “Lasciatemi a lavorare con gli alunni, ho tantissimi progetti da realizzare con loro” risposi.

Ma nel 2008 alla fine accettai la proposta e ora ho la funzione di Capo Dipartimento della Cultura, Gioventù e Sport.

Nel frattempo mi sono anche iscritto all’Università Cattolica del Mozambico. Studio a distanza Lingua e Letteratura Portoghese.

 

Continuo ad avere in testa tantissimi progetti da realizzare. Volete sapere l’ultimo? Un centro di formazione teatrale per le nostre ragazze e per i nostri ragazzi.

Ce la farò? Ricordate che vi ho detto che sono un tipo ambizioso e determinato.

 

Obrigado
Adelino Cuba