Simone, vuoi andare in Mozambico?
di Simone CANOVA

















































































E’ un giorno qualunque, nel cuore dell’Umbria, alla Libera Università di Alcatraz.
Lavoro qui da diversi anni, mi occupo di buone notizie, come rispondo sempre a chi mi chiede di cosa mi occupo. Ah, dimenticavo: e mi chiamo Simone Canova.
Incrocio Jacopo Fo, che alla Libera Università di Alcatraz è il padrone di casa; saluti di rito, poi la frase destabilizzante della giornata: “Simone, vuoi andare in Mozambico?”.
Ecco, cominciava così, per me, autore di questo diario di viaggio, l’avventura de “Il Teatro Fa Bene“.
A dire il vero già da qualche tempo, ogni tanto, spuntava il nome del Mozambico. Voci di corridoio parlavano di presunti corsi di teatro nel Paese africano per promuovere la sanità e la salute e la buona alimentazione. Anzi, nel corso dei mesi precedenti era successo che un paio di volte Jacopo mi avesse parlato di questo progetto… ma per me era una delle 15.837 idee che avremmo potuto realizzare un giorno, forse…
E oggi, all’improvviso, quella domanda! Corro nel mio cervello ad aprire il cassetto “Jacopo mi parla del Mozambico” e raccolgo le poche informazioni che ricordo: sì, si tratta di corsi di teatro per attori mozambicani, il tutto legato a un progetto di promozione della salute, soprattutto di mamme e bambini.
Era tutto quello che sapevo, quello che il “capo” mi aveva raccontato e che avevo archiviato come semplici idee, mere ipotesi.
Poche, dunque, le informazioni che ripesco nella memoria ma mille le domande che mi vengono da porre.
Quella richiesta rendeva ora tutto ufficiale? Avevamo trovato i partner per il progetto? Quale progetto?!? Chi va, chi viene? Quando parto?
Invece rispondo solo: “Sì, certo!”
Perché se Jacopo ti chiede se vuoi andare in Mozambico, rispondi solo di sì, il resto sono dettagli insignificanti! E poi io l’Africa un po’ la conosco, Jacopo non poteva avermi fatto quella domanda a caso. Ho partecipato per quattro anni a un progetto di cooperazione internazionale in un villaggio in Burkina Faso, dove in un campo incolto e abbandonato abbiamo costruito un pozzo e orti, pollai e stalle per gli animali. Lì ho vissuto e lavorato a strettissimo contatto con i Burkinabè, forse i più poveri tra i poveri. Abbiamo iscritto alle scuole elementari oltre 150 bambini di 3 villaggi e piantato un centinaio di nuovi alberi. E distribuito attrezzi agricoli… e quante malarie curate! Questa esperienza mi ha profondamente cambiato modificando radicalmente l’ordine delle mie priorità.
Jacopo però mi sfugge, ha altri impegni. “Ne riparliamo?” gli chiedo. “Sì certo, intanto inizia a pensarci…”